LA METÀ PIENA di Atticus
diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil

CoL Centro oncologico Ligure diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil LA METÀ PIENA di Atticus

LA METÀ PIENA di Atticus

L’ARTE DI LEGARE

L’isolamento forzato, alla fine s’è capito, genera dolore. E’ forse uno degli effetti più gravi e sottovalutati del lockdown e del distanziamento sociale imposti dalla pandemia. C’eravamo, infatti, dimenticati che siamo fatti per stare con gli altri. Il contatto è come l’ossigeno, né più né meno. Non stupisce, allora, che l’isolamento possa produrre depressione, aggressività e persino violenza, com’è ben documentato nei media e nei Pronto Soccorso. Pensavo un po’ a tutte queste cose quando mi sono imbattuto per caso in un libro appena pubblicato da Einaudi, dal titolo un po’ ambiguo “L’arte di legare le persone”, scritto da uno psichiatra genovese, Paolo Milone: intende, mi son chiesto, legami d’affetto o di corda? Parlerà di legarsi o di legacci, tout court? Ho letto qualche recensione e ho trovato parole d’incanto e entusiasmo, come raramente capita, specie quando i medici si buttano nella letteratura (non sarebbe male, un Cechov ogni tanto). Da tempo, son sincero, evito le storie di quel genere, perché ci trovi disagio psichico insanabile e teoremi alla moda politicamente corretti, ma un po’ melensi. Vincendo una certa resistenza alla fine l’ho comprato e – non ci crederete - l’ho letto in un giorno. Ero assetato, si vede, dopo che il Covid aveva pizzicato anche me. Non voglio dilungarmi in lodi sperticate. E’ scritto non da un poeta, né da un saggista, ma da chi, in corsia e in ambulatorio coi “matti”, un po’ di saggia pratica  e anche di poesia se la deve inventare ogni giorno, perché nei libri scarseggia. Ci trovate paura, fragilità, calci e sputi, comprensione, disincanto e infinita tenerezza e persino ironia con qualche battuta memorabile. E la poesia quando arriva, qui, è genuina, niente di artificiale o accomodante. Ho scelto un solo brano, non di più, un po’ amaro e riguarda i genovesi: a uno psichiatra di Roma si spiega qualcosa di noi (mica tutti). Leggetelo, il resto lo trovate in libreria. Che è sempre un bel posto per stare svegli!

 

Cesare, smettila di dare antidepressivi a tutti i genovesi che incontri.

E’ vero i genovesi si lamentano tutti, ma non sono depressi. Tu che vieni da Roma, devi imparare la diagnosi differenziale.

Il mugugno ha i suoi canoni, è musica popolare.

E’ un blues laico, che parla della fatica dell’uomo, ma non cerca nessuna salvezza.

E’ un blues interessato, perché dice: le cose mi vanno male, non posso darti nulla.

E’ un blues bugiardo: quando un genovese si lamenta di qualcosa, vuol dire che ha già in tasca la risposta.

Lamentarsi è un modo frugale di cantar vittoria.  Se un genovese sta veramente male, non si lamenta, tace.

Il lamento del depresso è una battuta unica, ripetuta, greve. Dice: tu non c’entri, ma in qualche modo è colpa tua.

Il mugugno è liberatorio: siamo uniti contro qualcuno, siamo sulla stessa barca. La musicalità è diversa, si riconosce alla prima sillaba.

Se qualcuno non è di Genova e si mette a cercare una soluzione al problema, il genovese si ritira. Lui vuole solo andarsene senza aver detto niente.