LA METÀ PIENA di Atticus
diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil

CoL Centro oncologico Ligure diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil LA METÀ PIENA di Atticus

LA METÀ PIENA di Atticus

UNA PAROLA NUOVA

Quante sono ultimamente le parole che stiamo imparando per colpa (o merito) del Coronavirus? Non si contano.  Pandemia, spillover, infezione (che non vuol dire malattia), mascherina, sanificare, distanziamento, lockdown, recovery fund e chi più ne ha più ne metta. Lasciamo perdere la curiosità se si è davvero capito il significato non dico di tutte, ma almeno della metà delle parole in uso (e abuso) su media e social media. No, la faccenda che intriga è un’altra: non è che nel frattempo, grazie a nuove evidenze e conoscenze, certe parole circolanti stanno perdendo di utilità, cioè di capacità di descrivere ciò che accade, rendendo perciò più difficile la comprensione e risoluzione? Se lo domanda, per esempio, a proposito della parola “pandemia”, Richard Horton (in foto), direttore di Lancet, una delle riviste mediche più lette al mondo. Non è che questa parola - sintetizzo e semplifico un po’ - è già diventata insufficiente a descrivere la complessità delle cose? Per pandemia si intende una malattia epidemica che diffonde rapidamente tra le persone e si espande in vaste aree geografiche, potendo coinvolgere gran parte della popolazione mondiale. Il che avviene quando i soggetti non sono immunizzati e il nuovo agente infettivo è molto aggressivo. L’OMS ha definito pandemica l’infezione da nuovo Coronavirus l’11 marzo scorso. Da una tale definizione è derivata - come stiamo sperimentando - una drammatica riorganizzazione (tutta in chiave anti-infettiva) che non ha precedenti nella storia: a livello sanitario (si pensi alla ricerca di antivirali, alle rianimazioni, ai presidi di protezione e ai vaccini), a livello sociale (si pensi al lockdown e al distanziamento anche scolastico) e a livello economico (si pensi alla ristrutturazione del lavoro, al digitale, al problema degli spazi e allo smartworking). I risultati per fortuna sono arrivati, ma, come dimostra la seconda ondata in atto, non sono definitivi né omogenei geograficamente né scontati. Ciò a causa di tantissimi fattori che interferiscono soprattutto a livello politico-economico (gli investimenti non bastano) e culturale (negazionisti e menefreghisti non sono pochi). Sul piano strettamente sanitario – e qui torniamo alla perplessità di Lancet – si è visto che la diffusione e la gravità del Covid è condizionata dallo stato di salute delle persone, dall’età e dallo stile di vita: non ci si ammala né si muore allo stesso modo e con le stesse probabilità. Anziani, obesi, ipertesi, diabetici, malati di tumore e fumatori sono molto più a rischio degli altri. Non solo: se al mondo ci fossero meno ingiustizie e povertà, molti di meno sarebbero anche i contagiati e i morti da Covid. Tutto documentato e pubblicato su grandi riviste scientifiche. Conclusione: pensiamo di risolvere interazioni e fragilità legate alla povertà e alle malattie croniche- degenerative (che stanno “contagiando” anche i Paesi poveri) affidandoci solo a nuovi farmaci e ai nuovi vaccini? Per Lancet è un’illusione. Servirebbe piuttosto uno sguardo globale, coerente, attento anche ai contesti sociali e ambientali. E anche la politica e l’economia dovrebbero tenerne conto. Ecco perché ci vuole una nuova parola per descrivere tutto questo: sindemia. Perché i grandi problemi di sanità pubblica - compreso il Coronavirus - non viaggiano scompagnati. Sono, per forza di cose, intrecciati alla vita dei singoli e delle comunità. Dei morti nelle Rsa – per restare a casa nostra – non è alla fine questa la lezione?