LA META’ PIENA di Atticus
diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil

CoL Centro oncologico Ligure diagnosi precoce dei tumori, assistenza sanitaria, assistenza psicologica ai malati oncologici e ai loro famil LA META’ PIENA di Atticus

LA META’ PIENA di Atticus

DOPO CAFARNAO

Facciamo l’esperimento di andare al cinema. Sai che pensata, direte. Un momento: non si tratta di svagarsi guardando (banalmente) come va a finire una storia, ma di verificare, piuttosto, come quella storia possa cambiare noi. Funzionerà? Beh, intanto entriamo a Beirut, perché è lì che la regista libanese, Nadine Labaki, ci porta col suo film neorealista Cafarnao, termine che non definisce un luogo, ma solo uno stato di ingovernabile caos. Non ci ritroviamo nella meta  esotica o sensuale di qualche sognatore occidentale, neppure nella “Miami del Medio Oriente” delle Agenzie di Viaggio, ma nella periferia convulsa e degradata di una città senza pena, attraversata da  miseria e violenza senza pari. Al centro sono bambini sfruttati, abbandonati, senza futuro e  senza un’età riconosciuta, in quanto mai registrati in Anagrafe. Nessuno si occupa di nessuno, da quelle parti. Il protagonista, Zain, è un ragazzino di forse 12 anni (nessuno ricorda) che vive in una famiglia tutta figli, disperazione e cicche. Non studia (perché dovrebbe?), s’inventa ogni sorta di espediente per resistere e persino accudire un bimbo più solo di lui. Malgrado l’ ostinazione, deve affrontare guai più grandi di lui, scappa, ferisce l’uomo a cui la sorella giovanissima è stata venduta (per poi morire d’aborto) e alla fine, per rabbia e stanchezza decide di denunciare i genitori per averlo messo al mondo: non basta più piangere sfruttamento e ingiustizie – questa la provocazione della regista -  occorre “chiamare in causa” chi ti mette al mondo irresponsabilmente,  lagnandosi e assolvendosi sempre. In tribunale, perciò, i genitori di Zain dovranno rispondere della loro impotenza e colpevole disperazione.  Alla fine (lieto fine?) il protagonista avrà la foto per il suo primo documento ed anche il suo primo sorriso. Il film ha vinto nel 2018 il premio della Giuria a Cannes con gli applausi di critica e pubblico. Qualcuno ha accusato la regista di “ricatto” mostrando tutto quel dolore, ma è un ragionare vergognoso. Basti dire che il film è costato tre anni di preparativi, sei mesi di riprese in strada con attori di strada e problemi d’ogni sorta, due anni ulteriori per il montaggio dovendo ridurre 12 ore di riprese a poco più di due. Francamente, dietro questa grande storia non c’è furbizia, ma solo intelligenza, fatica e tanta voglia di emozionare: come riescono, se no, gli esperimenti importanti? Il cinema non può cambiare il mondo, certo (la vita dei piccoli attori, per fortuna sì), ma se la regista voleva  farci riflettere, ci è davvero riuscita. Il problema ora è un altro e riguarda noi, cioè l’esperimento di cui dicevo all’inizio: dopo Cafarnao, per esempio, dopo immagini così inquietanti cosa faremo? Lasceremo che il tempo passi cancellando storie esagerate come queste, oppure metteremo mano ai nostri abituali pensieri sulle cose del mondo, finalmente, in qualche modo, cambiandoli?